Le nostre radici
Qualche riflessione sulla nascita dell’organizzazione aziendale come raggruppamento autonomo nell’Università italiana
Di Giovanni Padroni
Una serie di eventi e situazioni, anche occasionali, mi ha fatto essere testimone e accompagnare il decollo e le prime fasi di sviluppo dell’organizzazione, quale disciplina “autonoma”, nell’Università italiana.
Si fa spesso riferimento al Congresso dell’AIDEA su “Organizzazione ed Economia aziendale” svoltosi a Taormina nell’ottobre del 1982 come momento, se non di nascita, di “concepimento” del nuovo raggruppamento, verosimilmente importante anche per le influenze sulla cultura e le prassi negli scenari aziendali.
In realtà con il Seminario di Taormina fu presa coscienza che, in mancanza di perimetri chiari e di trasparente autonomia, la disciplina avrebbe avuto un’esistenza difficile e forse asfittica, pur nella presenza di pregevoli ma non sistematiche attenzioni scientifiche di illustri studiosi.
Così, immediatamente dopo, ebbi la percezione che due grandi protagonisti delle nostre discipline, il Prof. Egidio Giannessi e il Prof. Carlo Masini, fossero determinati e concordi nel far nascere e dare autonomia, anzitutto in chiave culturale, all’Organizzazione.
Mi trovai per una serie di circostanze in prima linea a Pisa, come il collega Prof. Andrea Rugiadini a Milano, nel vivere queste fasi che ebbero solide radici negli scenari accademici ma anche nella lungimiranza e nell’entusiasmo dei due Maestri.
Personalmente ho letto e vissuto questo percorso, una vera e propria “gravidanza” accademica, soprattutto attraverso il pensiero e l’azione di Giannessi che come allievo seguivo più da vicino ma che sapevo, per questo ambizioso progetto, in totale sintonia con Masini.
E posso testimoniare, fin dall’inizio, la visione di un’organizzazione come disciplina sempre collegata alla gestione e alla rilevazione, quindi con matrice solidamente economico-aziendale, ma anche “autonoma”, e non solo con riferimento alle vicende concorsuali.
Tuttavia non si dimentichi come, già negli anni precedenti, il Maestro pisano avesse delineato per l’organizzazione confini e contenuti rigorosi anche nella non velata preoccupazione di sottrarla ad abbracci di altre scalpitanti discipline fuori del dominio aziendale che potevano snaturarla o rivelarsi potenzialmente soffocanti.
Giannessi possedeva una spontanea attitudine, caratteristica dei “grandi”, di affrontare argomenti complessi in modo semplice e chiaro, anche frutto di una profonda sapienza e finezza psicologica, e così spingeva gli allievi a comportarsi.
In molti campi innovatore, unificatore di anime diverse della scienza, Giannessi fu precursore geniale anche nei sentieri organizzativi. Così i volumi su Frederick Winslow Taylor e Harrington Emerson non rimangono circoscritti agli autori né alle esegesi delle loro opere bensì rappresentano acute e originali analisi che aprono più di una finestra su una disciplina alla vigilia di grandi e profonde trasformazioni, anzitutto dilatandone la visione ben oltre i confini della “Factory”.
D’accordo con Taylor, riconosciuto e apprezzato “Father of Scientific Manageent”, Giannessi già dagli anni Sessanta e Settanta non pensa alla combinazione aziendale come luogo di collaborazione idilliaca, bensì piuttosto fondata sulla consapevolezza dei molti problemi, non esclusi i conflitti, e della necessità di contribuire a trovare convenienti soluzioni per risolverli. E più volte sottolinea come non sarebbero le persone e i beni a dover essere “organizzati” bensì le operazioni a cui le persone, agendo sui beni, possono dar luogo. Ciò, nella convinzione che i beni e le risorse umane siano uniti da un principio teleologico piuttosto che da rapporti di casualità; e che l’organizzazione non possa riguardare altro che operazioni prodotte dall’azione delle persone sui beni.
Comunque le scelte strutturali, così come l’attribuzione e definizione delle funzioni ai vari organi con idonee azioni di coordinamento e controllo, dovevano per il Maestro pisano essere compiute anzitutto in base alle condizioni d’azienda relative al mercato e all’ ambiente: anche con grande attenzione alla prospettiva internazionale che lui stesso aveva percorso e che spesso, anche a lezione, ricordava con rigorosa, pittoresca toscanità.
Se Giannessi è precursore anche nei confronti delle lucide e rivoluzionarie visioni sulla “razionalità limitata” di Herbert Simon, Nobel nel 1978, del pari è possibile scorgere nel suo pensiero idee che “anticipano” la teoria della complessità polarizzata su molte variabili, non linearità, probabilità al posto della prevedibilità, nuove sensibilità nei confronti di aspetti legati all’ambiente, all’etica, alla responsabilità sociale: linee guida teoriche ma anche fonte di suggerimenti per le ricerche, capaci di influenzare, direttamente e indirettamente, sentieri non soltanto locali.
Il Maestro mostra e rivela una vita aziendale essenzialmente dinamica che esige adattamenti continui degli schemi strutturali alle mutevoli e risorgenti necessità: sottolineando con lungimiranza la necessità di non separare in modo netto l’aspetto strutturale da quello strategico. Ciò anche nella consapevolezza che il successo sia condizionato dal grado di armonia esistente tra le strategie, le strutture e la cultura aziendale: perché i valori culturali e le “ideologie” inciderebbero, tra gli altri, sui comportamenti nel posto di lavoro, i rapporti di subordinazione e indipendenza, il grado di accettazione del luogo di lavoro stesso e, quindi, in definitiva, sull’organizzazione.
Giannessi non separa rigorosamente i variegati aspetti della strategia e della struttura: li vede piuttosto in termini di tendenziale interrelazione, anche in questo caso precorrendo e arricchendo i fondamentali contributi di Chandler. La struttura, “output” della progettazione, rappresenterebbe il tessuto connettivo posto tra la missione globale dell’azienda e le sfere delle motivazioni e dei bisogni soggettivi; la cultura organizzativa il fondamentale fattore per il raggiungimento dell’economicità durevole.
Viene enfatizzato il ruolo del capitale umano, non solo quale elemento strumentale ma anche preziosa occasione di autorealizzazione. E per Giannessi la persona assume importanza fondamentale, capace di manifestare stretti rapporti con i multiformi aspetti della vita sociale. Il lavoro è sempre elemento chiave nel processo produttivo e alla luce di questa sensibilità, che anticipa moderni sviluppi dottrinali, viene evidenziato il passaggio dalla funzione al ruolo, caratterizzato da elementi squisitamente soggettivi inquadrabili in una visione sistemica e ineludibilmente “complessa”. L’intreccio tra più o meno rigorose definizioni delle funzioni e le gamme delle aspettative farebbe scaturire sistemi di ruoli e conflitti da cui si conferma ulteriormente come ogni problema di organizzazione sia, contemporaneamente, esercizio di proficua gestione.
Come ricordava ancora Giannessi, una completa e cordiale “cooperazione”, che non potrebbe mai essere imposta, e un’idonea “istruzione preventiva”, vincolerebbero l’applicazione della teoria all’interno della combinazione produttiva: rendendosi conto che non è possibile preparare nuove generazioni di lavoratori, con caratteristiche innovative rispetto a quelle dei loro predecessori, facendo solo ricorso a forme tradizionali di mero addestramento. Enfatizzava piuttosto la necessità di attività di formazione: mirate a fornire strumenti utili per affinare le capacità tecniche ma, anche e soprattutto, operanti sul piano generale dei principali significati delle conoscenze umane; ciò al fine di offrire precisi supporti mediante i quali acquisire, insieme, matura consapevolezza dei significati della propria attività, esaltazione del concetto di “curiosità intellettuale”, arricchimento delle coscienze.
Muovendo direttamente dal pensiero zappiano, Giannessi accosta in un unico insieme la dottrina dell’organizzazione a quella della gestione e contabile. Considera l’economia aziendale come fattore capace di far progredire la metodologia del sottosistema organizzativo attribuendo alle funzioni e ai ruoli i supporti necessari per metterli in corrispondenza a valori economici che, nel tempo, possono esprimere.
In quanto efficace mezzo di conveniente gestione, l’organizzazione influenzerebbe i livelli di rendimento ed economicità, favorendo la convergenza verso l’equilibrio economico durevole.
Fin dai primi passi, i nuovi scenari organizzativi segnalavano che, parallelamente a un progresso tecnico-scientifico sempre più rapido, l’uomo era comunque autentico “fattore di eccellenza”. E la sfida maggiore per la professionalità era solidamente rappresentata dalla capacità di concepire e trasmettere ampie visioni strategiche con forti caratterizzazioni ideali. Ciò senza trascurare l’esigenza di giungere a risultati concreti mediante la formulazione di obiettivi, anche di breve periodo, concernenti specifiche problematiche: da quelle tecniche a quelle economiche, finanziarie, patrimoniali.
Tuttavia la necessità crescente di flussi informativi in ogni direzione, in grado di arricchire il patrimonio di conoscenze, si scontra fin da allora con i vincoli rappresentati dalle strutture burocratiche o comunque fortemente gerarchizzate. E alle radici del problema, allora come oggi, c’é il miglioramento delle capacità e delle competenze che l’azienda possiede e sa concretamente esprimere, nel mercato e nell’ environment in cui è immersa.
I primi passi della nuova disciplina si confrontano con sistemi preesistenti generalmente rigidi, che è necessario cambiare, comunque risultato e causa di atteggiamenti e valori. Si percepisce come le strutture “classiche”, per caratteristiche intrinseche, non possano facilitare un’adeguata trasversalità, flussi rapidi di comunicazioni, decisioni tempestive.
Dunque Giannessi, già negli anni Sessanta e Settanta, è un precursore capace di generare riflessioni teoriche e linee di ricerca, preziose anche ai nostri giorni, che vedono lo sviluppo e le condizioni di equilibrio affondare le loro radici in una nuova cultura che ha nel fattore umano una risorsa essenziale.
Se nuovi assetti della dottrina organizzativa nascono dal carattere di complementarietà che lega sinergicamente i fattori produttivi, spesso il Maestro osserva anche come nell’ analisi delle variabili “critiche” debba essere attribuita una particolare rilevanza agli aspetti qualitativi, offrendo “chiavi” interpretative e guide rilevanti sia sul piano esplicativo-teorico sia su quello operativo.
La tipologia organizzativa, affermava Giannessi, non è cosa prefabbricata da imporre a tutte le aziende: ognuna è peculiare combinazione di fattori produttivi, sistema operativo in atto e composizione dinamica di forze, interne ed esterne. E nella difficoltà di stabilire norme a carattere generale o pretenderne l’applicazione a tutti i casi che si presentano, l’organizzazione, prima di ogni altra cosa, sarebbe un movimento di idee.
Se l’esigenza di adeguare le strutture interne ai profondi cambiamenti, da quelli tecnologici a quelli di mercato e di ambiente, ha favorito lo sviluppo e l’affermazione di una disciplina fortemente autonoma, merita sottolineare lo sforzo per favorire la ricerca continua di connessioni con le altre dottrine nell’ambito dell’unitaria concezione economico-aziendale.
Giannessi illumina sistemi economico-sociali sempre più chiaramente “aperti”, fortemente dinamici, a crescente complessità. Ciò anzitutto in relazione a multiformi rapporti di causa-effetto, concausa-rapporto molteplice, comunque strettamente connessi ad un environment che formula pressioni-aspettative forti e difficilmente prevedibili.
L’equilibrio dei sistemi aziendali, come di quelli sociali, sarebbe dunque criticamente legato ad alcuni fattori-chiave: dalla flessibilità quale strumento strategico primario al collegamento con le problematiche più squisitamente strutturali, tecnologiche, culturali, alla visione strategica globale.
E la crescente rilevanza degli aspetti sistemici rispetto a quelli parziali, di settore o riferiti a segmenti isolati, renderebbe necessarie visioni globali con prospettive fortemente strategiche.
Per Giannessi l’Università è anzitutto “Universitas” luogo e strumento per approfondire le diverse discipline nella costante tensione verso interrelazioni alimentate da curiosità, passione, senso critico, immaginazione; capace di offrire un maturo possesso del metodo e pronta a cogliere i collegamenti tra il singolo accadimento e la visione complessiva. Tutto ciò in un quadro di ampio respiro in cui trovano spazio, accanto agli aspetti squisitamente economici, obiettivi sempre più caratterizzati in senso civile e sociale.
Il Maestro è instancabile nell’esortazione a compiere in grado eccelso il lavoro di insegnamento e di studio, sempre collegati, mai dimenticando l’ umanità, la costante onestà, il continuo riferimento alla responsabilità e all’ etica: praticata e non meramente proclamata, perché anche nell’Università “a nessuno sia permesso di appropriarsi della cultura strumentalizzandola per le proprie mire di potere o relegandola nell’ambito di una ristretta cerchia di persone”.
La cultura, ci ricordava Giannessi, nonostante le sue molte facce, è una; e l’articolazione pluridimensionale e universale della conoscenza deve essere costantemente attenta a ostacolare il distacco e la contrapposizione tra momenti diversi del ” sapere “, di necessità armonicamente uniti.
La ricerca, anche in organizzazione, non ha mai una “conclusione” ma soltanto tappe intermedie; ogni studioso apporta un contributo che è utilizzato da altri in reti virtuose che fanno progredire una disciplina e, più in generale, la conoscenza.
Terreni dissodati e semi diffusi già negli ultimi decenni del Novecento ci aiutano a meglio comprendere le attuali configurazioni organizzative “postmoderne”, legate alla complessità; a configurare pluralità di forme che emergono dalle variegate soggettività, così come comportamenti di “Self organization” piuttosto che di mero feed-back o regolazioni descrivibili linearmente. E tutto ciò entro sistemi “caotici” caratterizzati da insicurezza, difficile prevedibilità, “razionalità limitata”, nel delicato passaggio da elementi dominanti “epistemologici”, caratterizzati dalla comprensione di situazioni complesse, singolari, ad altri “ontologici”nei quali realtà diverse coesistono, collidono, si compenetrano. Si richiedono sempre di più sia conoscenze trasversali, per sapersi muovere nel cambiamento, sia competenze specializzate per adempiere specificatamente al proprio ruolo. E crescono i “Knowledge Workers” e gli operatori a cui si chiede contemporaneamente professionalità e flessibilità.
Nello scenario in cui l’organizzazione muove i primi passi, l’Università, sorgente principale della cultura, è chiamata a coniugare sinergicamente l’insegnamento con la ricerca scientifica; a offrire anzitutto un maturo possesso del “metodo”, capacità di cogliere i rapporti tra singolo accadimento e visione complessiva, insegnare un uso critico degli strumenti acquisiti e armonizzare le conoscenze specialistiche in una visione d’ampio respiro, anche spesso intessuta di rinunce e sacrifici. Vuole uomini liberi aperti a tutte le idee e a ogni aspetto dell’investigazione.
E nel pensiero e nella prassi di Giannessi, giunti fino a noi, vi è un’imprescindibile bisogno di unità della cultura, nella convinzione che quanto più un Paese cresce nel campo della scienza e della tecnica tanto maggiormente deve progredire nel terreno umanistico: e ciò con riflessi significativi anche nei campi dell’organizzazione. Così l’apprendimento, piuttosto che assimilazione di risultati già elaborati, sarebbe forma di partecipazione attiva alla ricerca, che alla didattica è intimamente collegata quasi a rappresentare le due facce di una stessa medaglia. In ciò appare dunque essenziale l’insegnamento inteso come paideia, piuttosto che presuntuosa illuminazione.
Invece di soluzioni preconfezionate Giannessi enfatizza il bisogno di acquisire senso critico, personali opinioni, metodologie per risolvere i problemi, strumenti e incoraggiamenti per elaborare e diffondere le proprie idee.
E, con particolare riferimento all’organizzazione, ma nella forte sensibilità e attenzione anche alle altre aree dell’economia aziendale, è sempre forte l’invito a non dimenticare mai il passato prima di proiettarsi nel futuro.
L’investigazione presupporrebbe sempre una forte unità di vita che dovrebbe legare, oltre che la ricerca e la didattica, la sfera professionale, gli incarichi accademici, i rapporti umani.
“Alla base delle vostre opere“, amava ripeteva Giannessi a studenti e allievi, “siano non tanto le nozioni ma i concetti, derivati dall’osservazione e interpretazione dei fatti: con sete inestinguibile del sapere e sempre affascinati dalla conoscenza“.