L’organizzazione oltre la strategia – Call for papers
“Improving Lives. Improving Health and Well-being in Society: How Can Organizations Help?”.
Così si intitola il Meeting 2018 della Academy of Management, la maggiore associazione internazionale degli studiosi di materie aziendali. È un segnale, che fa seguito a tanti altri simili, dell’insoddisfazione diffusa nel mondo attuale, e forse soprattutto nei Paesi dell’Occidente economicamente avanzato, per l’impatto che le imprese, con il loro sviluppo e con la loro competitività, hanno sulla vita delle persone, dentro e fuori dai propri confini. Al di là del dato economico, le imprese e le altre organizzazioni riescono davvero a contribuire al benessere di chi lavora e degli altri soggetti sociali? Ci si può chiedere quale sia il posizionamento della scienza e della pratica dell’organizzazione rispetto a questa più generale problematica.
Una scienza dell’organizzazione ha espresso il massimo impatto positivo per la crescita delle imprese e dell’intera società nel corso del Novecento quando il riferimento era il paradigma taylorista-fordista. Successivamente, il tentativo di integrare il modello classico in una concezione più organica e umanistica, attenta al sociale e alla persona – avviato dal movimento delle Human Relations e sviluppato con l’apporto delle scienze sociali – ha avuto un successo solo parziale. Di fatto, a partire dagli Anni 80, l’organizzazione è divenuta sempre più variabile dipendente rispetto alla strategia; dal structure follows strategy di Chandler, si è passati a scomporre l’azienda nelle sue diverse attività e unità, valutandone l’assetto ottimale in funzione della creazione di valore; la catena del valore di Porter (1980) ha offerto lo schema di riferimento per scelte strategiche che ottimizzano l’assetto organizzativo in funzione della profittabilità. Esternalizzazione, terziarizzazione, de-localizzazione, downsizing, ecc. sono state le applicazioni pratiche più diffuse di questi concetti, spinte dalla nuova economia globalizzata che si stava affermando in quegli anni.
Nell’assetto attuale delle aziende, l’organizzazione – come scienza applicata con il suo corpo di teorie, di concetti condivisi, di pratiche professionali sperimentate e diffuse – non orienta le scelte aziendali; assume invece un ruolo ancillare, servente rispetto alla priorità del calcolo economico di cui la strategia è espressione via via più sofisticata. Il primato della strategia sull’organizzazione non aiuta però la prima a contrastare una visione riduzionista dell’impresa basata su una debole antropologia; non favorisce in sostanza quella prospettiva di generazione di valore di lungo periodo, condiviso rispetto ai diversi stakeholder, che darebbe pienezza di realizzazione alla stessa strategia secondo una concezione più organica (Porter, 1996; Porter e Kramer, 2011; Nonaka e Zhu, 2012; Invernizzi, 2013).
Non sempre infatti i decisori strategici hanno la capacità di definire un orientamento durevole nel tempo, ma vengono irretiti in logiche reattive, volatili e mobili a seconda delle mosse dei competitor e delle condizioni di mercato anche contingenti. Il predominio delle istanze strategiche su quelle organizzative sacrifica a lungo andare anche la solidità delle imprese. Posta al servizio di cattive strategie, l’organizzazione si impoverisce e perde la capacità di generare idee per strategie alternative. Il primato della strategia sull’organizzazione significa anche prevalenza di una logica delle conseguenze sulla logica dell’appropriatezza (March, 2003): si decide in base a un calcolo del valore atteso dell’azione, ma questo esclude la fondamentale tensione dialettica con la logica dell’appropriatezza, in base alla quale le persone scelgono di comportarsi anche considerando il senso di sé, le obbligazioni derivanti dall’identità personale e sociale.
Anche così si può forse spiegare la condizione di smarrimento e la perdita di senso che si registra nel mondo del lavoro; le impietose analisi Gallup testimoniano la demotivazione dei lavoratori così diffusa, il dis-engagement e se si tiene conto anche del contenimento dei salari negli anni della crisi, emerge il complessivo degrado delle relazioni umane all’interno delle organizzazioni. Certamente, l’eredità della componente umanistica degli studi organizzativi non si è persa del tutto; ha avuto anzi un forte sviluppo concettuale e impatto applicativo nelle aziende sotto le forme di concetti e conseguenti pratiche riguardanti la leadership, l’intelligenza emotiva, i team, il coaching, le organizzazioni piatte, la cultura aziendale, l’apprendimento, la learning organization, l’auto-organizzazione, ecc.
Tuttavia, seguendo queste direttrici molteplici, le discipline organizzative si sono frammentate, sparpagliate e diluite; la pretesa di alcuni di configurare attraverso questo tipo di sviluppi un emergente paradigma post fordista, coerente con il contesto tecnologico, competitivo e sociale del XXI secolo, configura una prospettiva incompiuta; la proliferazione di suggestioni con deboli fondamenti scientifici – per lo più presentati come analogie e metafore – finisce per favorire alla fine la diffusione di mode manageriali o Management Fads. Questi temi sono ampiamente evocati nella formazione, nella consulenza, nelle associazioni professionali, quasi a compensare il ruolo più decorativo che sostanziale svolto nelle organizzazioni reali. Il rischio è di promuovere una sorta di ‘catechismi aziendali’ che incidono poco sui decisori esposti alla pressione per la performance di breve periodo.
L’utilizzo di queste pratiche organizzative in chiave per lo più strumentale è quindi conseguenza della rinuncia, o dell’incapacità, di costruire e diffondere solidi modelli organizzativi basati sui concetti umanistici e partecipativi orientati a gestire il tessuto di relazioni interno alle aziende, ottenere l’impegno dei lavoratori per i fini produttivi e sostenere la competitività delle aziende. Non secondario è lo scarso contributo che la cultura organizzativa sembra per il momento offrire per il governo delle tecnologie digitali nel loro impatto sulle aziende. Se questo vale in generale, l’Italia sembra interessata da una particolare debolezza degli assetti organizzativi aziendali e della stessa cultura dell’organizzazione, tanto da configurare una vera e propria questione nazionale, che evoca quindi una serie di grandi problematiche irrisolte, che toccano campi come la scuola, la sanità, la giustizia, l’ambiente, il mercato del lavoro; l’inadeguatezza delle organizzazioni preposte ad affrontare tali emergenze e la loro scarsa capacità di cambiamento e innovazione ne costituirebbe la causa originaria (Butera, 2011). Di fronte al venire meno, nella crisi dell’ultimo decennio, della fiducia delle persone nelle concezioni economiche dominanti e nei conseguenti orientamenti strategici delle imprese, ci si può chiedere se la scienza dell’organizzazione possa ricomporre una parte dei suoi frantumi disegnando un quadro di riferimento improntato al concetto di appropriatezza delle scelte in questo ambito.
Pensare all’organizzazione ‘oltre la strategia’ non significa naturalmente ignorare l’importanza di questa; il problema non è solo progettare organizzazioni ‘migliori’, ma è anche, o forse soprattutto, fare strategie ‘migliori’. Ci si può chiedere quindi se il contributo di una rinnovata scienza dell’organizzazione può migliorare le strategie riducendone anche il condizionamento da parte della finanza speculativa. Sviluppo&Organizzazione intende pubblicare nel 2019 contributi degli studiosi di discipline organizzative che affrontino la tematica generale del rapporto della scienza organizzativa con la teoria, la pratica e il sistema delle idee dominanti in materia di strategia aziendale. Il tema si presta a diversi approcci, con taglio sia concettuale sia di analisi di esperienze. Indicativamente, si prospetta una serie di questioni aperte.
- L’eccessiva dispersione e incoerenza degli studi organizzativi produrrebbe un’inferiorità rispetto ad altre scienze, come l’economia, più compatte intorno a un mainstream e quindi una minore capacità di influenza sul contesto istituzionale e delle politiche pubbliche; dando per scontato il carattere pluralista di questo campo di studi, si ritiene però che sia possibile convergere verso un nucleo forte di idee guida in grado di ispirare la prassi delle imprese verso una maggiore recettività delle esigenze delle persone? L’incompiutezza della teoria e della pratica cosiddetta post fordista può trovare consolidamento in un modello più consistente, diverso da un patchwork che cuce insieme pratiche eterogenee e capace alla fine anche di darsi un nome convincente?
- È possibile che una logica di appropriatezza (March) riferita alle scelte organizzative e non solo ai comportamenti delle singole persone divenga reale riferimento per le soluzioni adottate nel design organizzativo e criterio dotato della forza di bloccare soluzioni inadeguate anche se supportate da un calcolo di immediata convenienza? Oggi vediamo che nel nostro Paese si procede in direzione opposta, per esempio quando al fine di ottenere risparmi di limitata entità si sacrificano risorse professionali e di management accorpando strutture di servizio (scuole, ospedali, ecc.) al di là del ragionevole, fino a configurare ruoli manageriali ‘innaturali’ (Mintzberg, 2017). La ricerca, nella prospettiva per esempio del neo-istituzionalismo, può costruire una diversa consapevolezza dei costi sociali inerenti scelte improprie di ordine organizzativo dettate da logiche economiche di breve respiro?
- Nello scenario del prossimo futuro, il design dell’organizzazione può essere chiamato a un governo più incisivo dell’innovazione tecnologica e della sua accelerazione? Può per esempio fronteggiare situazioni in cui i robot svolgono i compiti fisici e l’Intelligenza Artificiale assolve alle funzioni manageriali? È possibile per l’organizzazione mediare tra queste diverse realtà aprendo spazi per valorizzare le competenze e le qualità delle persone?
- Quali cambiamenti nella relazione tra organizzazione e persone si possono profilare nella prospettiva di più forte investimento da parte delle imprese in risorse organizzative? Quali implicazioni si vedono per la responsabilizzazione dei soggetti individuali e collettivi e per i connessi sistemi di governance, di rappresentanza, di presa di decisioni? È necessario in questo senso superare definitivamente nelle relazioni industriali il residuo di una concezione antagonistica tra capitale e lavoro?
- Di fronte a un’economia e a una società sempre più esposte a eventi inaspettati, crisi ed emergenze di varia natura, le organizzazioni devono prepararsi ad agire e reagire anche secondo una logica di ‘strategia emergente’, attivando risorse presenti al loro interno, ma che non possono essere preventivamente destinate a tale scopo. Quali sono le implicazioni di questa esigenza per la progettazione organizzativa?
- Come si può contrastare, nel caso italiano, la debolezza delle organizzazioni e della cultura organizzativa, quale si manifesta in aspetti come la limitata consistenza dimensionale delle imprese, la riluttanza agli investimenti in risorse organizzative, la subordinazione delle condizioni di salute organizzativa di imprese e istituzioni ad altre istanze quali gli equilibri economici di breve periodo, l’allineamento a luoghi comuni propri della pubblica opinione, le esigenze di una ‘comunicazione di facciata’, o la tutela di interessi dominanti e di posizioni di potere? Quali progetti si possono prevedere in questo senso?
- Il ruolo ancillare e servente dell’organizzazione rispetto alla strategia genera anche comportamenti opportunistici diffusi, perché libera il management di vertice dal vincolo di rispettare criteri e condizioni di razionalità organizzativa socialmente condivisi e apre quindi la strada a politiche del personale e gestione delle carriere manageriali secondo logiche di potere e di vantaggio Personale. Si ritiene che questo rappresenti un problema reale? Come può essere affrontato? Il maggior coinvolgimento delle direzioni del personale nelle decisioni di più forte rilevanza e impatto può essere una via percorribile?
- Infine, in chiave di sintesi complessiva delle tematiche poste, come può essere ripresa, attualizzata e sviluppata l’argomentazione di Herbert Simon, uno dei precursori dell’Intelligenza Artificiale, sulla necessità di intervenire sull’ambiente organizzativo che forgia le decisioni strategiche? Si può integrare l’organizzazione nel ragionamento strategico fin dall’inizio, evitando di considerarla solo execution, e a volte capro espiatorio degli insuccessi di strategie mal concepite?
BIBLIOGRAFIA
Butera F. (2011), La rigenerazione e innovazione delle organizzazioni come questione nazionale, Studi organizzativi.
Chandler A. D. Jr. (1962), Strategy and Structure: Chapters in the History of the American Industrial Enterprise, The MIT Press, Cambridge MA.
Invernizzi G. (2013), Le strategie competitive, McGraw-Hill, Milano.
March J. G. (2008), Explorations in Organizations, Stanford Business Books, Redwood City CA.
March J. G., Simon H. A. (1958), Organizations, John Wiley&Sons, Hoboken NJ.
Mintzberg H. (2016), Natural and Unnatural Management Works (Thinking Outside the Box), in http://www.mintzberg.org/blog/unnaturalmanager.
Nonaka I., Zhu Z. (2012), Pragmatic Strategy. Eastern Wisdom, Global Success, Cambridge University Press, Cambridge.
Porter M. E. (1980), Competitive Strategy: Techniques for Analyzing Industries and Competitors, The Free Press, New York.
Porter M. E. (1996), What is Strategy, Harvard Business Review, 11-12. Porter M. E., Kramer M. R. (2011), Creating Shared Value, Harvard Business Review, 1-2. Simon H. A. (1991) Models of my Life, Basic Books, New York.
MODALITÀ E TEMPI DI INVIO DEI CONTRIBUTI NORME REDAZIONALI
I contributi dovranno avere le caratteristiche di articoli scientifici e, nella stesura, dovranno rispettare le norme previste per l’inoltro delle proposte di articolo per Sviluppo&Organizzazione. In particolare:
- Titolo del paper (max 90 caratteri, spazi inclusi);
- Abstract (max 1.500 caratteri, spazi inclusi). In caso di submission di un articolo per la sezione referato AIDEA, sarà necessario aggiungere un abstract in inglese;
- Lunghezza massima del paper (50.000 caratteri, spazi inclusi, comprese figure, tabelle, note, bibliografia);
- Eventuali tabelle e figure devono essere allegate, in alta risoluzione, e non inserite nel corpo del testo.
MODALITÀ DI INOLTRO
I contributi potranno essere inoltrati via e-mail all’indirizzo: sviluppo.organizzazione@este.it
SCADENZA
La scadenza per l’invio dei contributi è fissata al 28 febbraio 2019.
SELEZIONE E PUBBLICAZIONE
Il Comitato Scientifico di Sviluppo&Organizzazione individuerà i contributi idonei alla pubblicazione sulla rivista o in Quaderni della stessa. Nel corso del 2019 il tema sarà oggetto di alcuni Convegni organizzati dalla rivista. Il Comitato individuerà anche i tre migliori saggi, i cui autori verranno invitati a esporre le relazioni di base per il Convegno conclusivo del progetto nell’autunno 2019.
Tutte le altre informazioni sono disponibili nel documento di presentazione della Call For Papers